La rassegna BODIES&FACES vuole porre l’accento sulla figuratività con un taglio di ricerca e mettere a confronto il linguaggio di tre artisti – Giuseppe Pizzardi, Jara Marzulli, Salvo Riviolo – che fanno dell’inquietudine del corpo e del volto il loro campo di ricerca.
La seconda mostra della rassegna, di Jara Marzulli, è stata inaugurata venerdì 1 marzo presso la Art Gallery fadibè, in Via E. Geraci 27/C a Messina.
“…Melacarne è lo sguardo di Jara sulla donna, sulla maternità, sul parto, sul dolore, sulla “sorellanza”, sul suo perduto ruolo iniziatico, sulla sua sacralità; ma anche sull’infanzia, sulla fascinazione di un momento ineunte da cui può scaturire tutto, l’inferno come il paradiso. Jara procede fotografando in studio i suoi modelli, li prepara, li abbiglia, gioca con la luce e dopo, sulla tela con acquerelli, acrilici e soprattutto olio, dà corpo al suo mondo interiore in una continua ricerca in cui mette in gioco la sua arte e il suo stesso corpo. Ho scelto di esporre opere datate dal 2011 al 2019 (due delle quali realizzate appositamente per questa mostra messinese) perché fosse evidente il percorso di consapevolezza pittorica e spirituale dell’artista che con il passare degli anni ha ammorbidito una certa aggressività formale mantenendo saldo il suo pensiero sulle cose.
La figura umana si accampa sempre su sfondi neutri per lo più chiari animati da fiori, uccelli o insetti dal forte valore simbolico ma, come dicevo, ha lasciato per strada la sfrontatezza dissacrante degli abbracci, delle pance gonfie, delle cicatrici e delle mani che le accarezzano, le identità femminili celate da parrucche stranianti, da bende che coprono il sesso in quella mortificazione del corpo denunciata dall’artista con urli sovrumani. Potenza della dea madre, potenza dell’utero che è calice conviviale, Graal contenente l’unico sangue che non è ferita e morte e che il mondo nella maggioranza delle sue culture “avanzate” e uniformate continua da troppo tempo a negare.
La sua pittura ha una cifra stilistica inconfondibile e coerente che si ammorbidisce col tempo fino a giungere alla purezza lirica di opere come L’Allucinata del 2017, Il velo dell’illusione, Le sette rose del 2018 o La regina delle api del 2019, in cui gli elementi zoomorfi non brulicano più sullo sfondo mentre foglie e fiori, memori delle teatrali metamorfosi barocche – e penso al gruppo di Apollo e Dafne di Bernini- cominciano a spuntare da falangi, omeri, ciocche di capelli. La luce degli occhi poi, la lenticolarità delle gocce di sudore o delle lacrime, la polpa succosa degli acini maturi o la lucentezza delle unghie rimandano allo stupore epidermico di una pittura concreta che, più che all’iperrealismo, trovo vicinissima, anche per la sua forza simbolica, alla pittura fiamminga del XV secolo con la quale sembra combinarsi il senso onirico di certe visioni preraffaellite e simboliste nonché quel senso del corpo che il dottor Freud aveva disvelato nelle sue pulsioni agli occhi di Klimt e di Schiele. Jara si presenta qui a Messina così com’è, un po’ Matrioska (come la Matrioska porta dentro di se un universo fatto di storie che stanno dentro altre storie – quelle individuali dentro quelle collettive, quelle collettive dentro quelle di “genere”) e un po’ Masciara messapica intenta a ricucire il filo di misteri e magie ancestrali per portarli davanti ai nostri occhi come un altro finale possibile alla storia del mondo”. Mariateresa Zagone