In questi giorni mentre navigavo su Facebook una notizia del quotidiano “La Dépêche du Midi” ha destato la mia curiosità. L’articolo trattava delle ultime vicissitudini del ritrovamento di un dipinto attribuito a Caravaggio nei dintorni di Tolosa.
Il quadro, di dimensioni 144 x 173,5 cm, raffigura "Giuditta e Oloferne" nella rappresentazione canonica della ricca vedova Giuditta che, assistita da una serva anziana, recide con un coltello la testa del re assiro Oloferne, impedendogli in tal modo di assoggettare il popolo ebraico. Secondo gli esperti – l’articolo in particolare si sofferma sulla posizione di Rossella Vodret che il banditore d’asta Marc Labarbe ha citato in una conferenza tenutasi nel 2017 al Museo degli Agostiniani che ha visto la partecipazione di 225 consulenti giudiziari - la tecnica di esecuzione è confrontabile con quella presente in altre opere del Caravaggio, in particolare “i pigmenti rossi utilizzati” rinviano ai quadri dipinti dal pittore barocco durante il soggiorno napoletano del 1607 e la tela è la stessa dei “quadri dello stesso periodo”. L’analisi ai raggi X, afferma sempre Labarbe citando Vodret, rivela “delle tracce di modifiche” che si riscontrano anche nella copia di proprietà della Banca Intesa Sanpaolo di Napoli, attribuita al pittore fiammingo Louis Finson, discepolo di Caravaggio, e ciò dimostrerebbe che “le due opere sono state dipinte insieme nello stesso atelier” e che, con molta probabilità “il Caravaggio trovato a Tolosa può essere quello di cui si sono perdute le tracce dopo il 1617”.
Le vicissitudini del quadro hanno inizio nel 2014. I proprietari di un appartamento del tolosano - che l’articolo della Dépêche non menziona - preoccupati dell’umidità proveniente dal soffitto, decisero di salire nel solaio per scoprirne la causa e si trovarono davanti al dipinto che chissà da quanto tempo era lì. L’opera fu trovata in “un ottimo stato di conservazione”, come riporta il banditore sopracitato che per primo ha avuto accesso all’opera. Dopo essere stato sottoposto alla valutazione degli esperti, si è giunti alla conclusione che il quadro sia del pittore italiano Michelangelo Merisi, detto “Caravaggio”. Da qui inizia l’epopea.
Nel marzo del 2016 un provvedimento amministrativo del Ministero della Cultura pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dichiarava l’opera come “tesoro nazionale”, impedendone così la vendita all’estero. Nel provvedimento si affermava che lo Stato si sarebbe espresso entro trenta mesi sull’eventuale acquisizione del bene.
Nel 2017 il quadro è stato valutato per 120 milioni di euro dall’esperto parigino Eric Turquin. Cifra ritenuta eccessiva dallo Stato francese, che il 12 novembre del 2018 ha deciso di non diventare proprietario dell’opera e togliere il fermo amministrativo. Il Ministero della Cultura fa sapere che i consulenti giuridici “non hanno dato parere favorevole” e che in base alle loro conclusioni non si può stabilire l’autenticità del “Caravaggio”, ma allo stesso tempo lo Stato non intende dichiarare che l’opera sia un falso e che, essendo un cliente come gli altri, ha preso la decisione di rifiutare l’offerta “poiché ha un dubbio”.
L’8 gennaio il proprietario anonimo dell’opera si è visto recapitare il certificato di esportazione e adesso nulla impedisce che la tela venga messa all’asta quanto prima.
Secondo Artprice, una società esperta del mercato dell’arte, il dipinto potrebbe essere già messo in vendita alla fine della primavera del 2019 e che, andando al migliore offerente, “senza alcun dubbio andrà molto lontano dalla Francia”. Il quotidiano di Tolosa non esclude invece che il quadro possa restare nel capoluogo occitano “al fine di segnare l’epilogo di un’avventura iniziata quattro anni fa, nella soffitta di una casa della regione tolosana”.
Ovviamente io non ho le competenze per asserire l’autenticità dell’opera d’arte. Tuttavia, seguendo la logica, a mio parere non è impossibile che Caravaggio abbia dipinto un quadro del medesimo soggetto e nello stesso atelier insieme al discepolo Louis Finson. D’altra parte - pensando ad altri artisti - Leonardo da Vinci non è cresciuto e ha cominciato a esprimere il suo talento nella bottega del Verrocchio dipingendo o collaborando a quadri dello stesso soggetto? Nella fattispecie penso in particolare al “Battesimo di Cristo”, ma senza dubbio ce ne saranno altri. Certamente, nel caso di questa vicenda, non si può che restare nella sfera delle ipotesi e su questo quadro si continueranno a versare altre pagine d’inchiostro nella speranza di giungere alla verità.
Roberto Cavallaro