“13 febbraio 1857, venerdì. All’alba, le coste della Calabria e della Sicilia di fronte a noi. Ci avviciniamo verso le 10. L’una e l’altra sono molto alte e frastagliate – pittoriche. Molte case. Sulla cima delle montagne più alte, la neve. Ameno veleggiare nello Stretto. All’una gettiamo l’ancora nel porto, somiglia a una laguna. Giornata di pioggia. Scendiamo a terra, all’ufficio di polizia. Mi perquisiscono, per cercare carte eccetera – L’hotel è in una bella strada. Grande Chiesa. Mi son fatto smacchiare il soprabito”: chi scrive così della città di Messina in un suo Diario è il grande scrittore, poeta e critico letterario statunitense Herman Melville (New York, 1 agosto 1819 –New York, 28 settembre 1891) che, sei anni prima, era stato l’autore del romanzo Moby Dick, considerato uno dei capolavori della letteratura americana.
Seguiamolo ancora, a zonzo per Messina, attraverso le pagine del suo Diario. Lo abbiamo lasciato in un “[…] hotel […] in una bella strada […]”. La strada è il Corso Vittorio Emanuele, all’ombra della superba Palazzata che il grande architetto messinese Giacomo Minutoli aveva realizzato a partire dal 1803. L’Hotel sarà stato il “Vittoria” o il “Trinacria”, quest’ultimo, uno dei più belli e antichi di Messina, gestito da Bitto, Campolo ed Asciak. Sabato, 14 febbraio, lo scrittore americano annota nel suo Diario: “Ia sera sono andato al Caffè vicino all' Opera, per incontrarmi, se possibile, con il Dr. Lockwood della fregata “Constellation”, ma non ci sono riuscito. Stamattina è bel tempo, e ci sono parecchie navi americane in porto, per imbarcare frutta: questa è la stagione adatta. Son salito a bordo di una di esse. Son venuto via per andare sulla fregata. Ho reso visita al Capitano Bell e ho visto il Dott. Lockwood, col quale mi son recato a dorso d' asino su una collina abbastanza alta, a quattro miglia da Messina. Il telegrafo”.
Il “Caffè vicino all' Opera” era l’antico “Gambrinus” dove era possibile assistere anche a spettacoli di varietà con provocanti ballerine “discinte”; accanto, il Teatro Sant’Elisabetta (non ancora Vittorio Emanuele), progettato dall’architetto napoletano Pietro Valente ed inaugurato il 12 gennaio 1852, giorno del quarantaduesimo compleanno di Re Ferdinando II. La passeggiata a dorso d’asino, certamente non lieve considerata la lontana destinazione, era ai Colli Sarrizzo e precisamente alla collina detta “del Telegrafo”. Al ritorno dall’escursione, Melville consuma la colazione con il capitano Bell e gli altri ufficiali “[…] nel quadrato della fregata. Ci siamo intrattenuti piacevolmente. Poi siamo andati in giro per la città con il Dottore, e la sera sempre con lui, all’Opera a sentire il Macbeth. Son tornato in albergo alle 11” (questa edizione dell’Opera, rappresentata la prima volta nel 1847, pare sia stata diretta, al “Sant’Elisabetta” messinese, da Giuseppe Verdi in persona).
“I forti di Messina dominano la città, non il mare. Larghi tratti della città sono stati demoliti, cosicché ciò che resta possa essere controllato dal forte. Un quadrante nella chiesa. I torrenti che vengono giù dai monti passano attraverso la città”: sono questi appunti di grande efficacia nella loro estrema sintesi e rendono perfettamente l’idea delle strutture difensive della città. Il forte cui il romanziere americano fa riferimento è la “Cittadella” nella zona falcata di San Raineri, iniziata ad edificare a partire dal 1680 per rappresaglia all’indomani della fallita rivolta antispagnola messinese del 1674-78, e per la cui realizzazione venne demolito l’intero Quartiere di Terranova. Il 15 febbraio, domenica, Melville annota: “È venuto in hotel il dottor Lockwood, s’è seduto, e mi ha proposto una lunga passeggiata. Lunga camminata per i lunghi sobborghi che costeggiano il mare. In vista dei monti della Calabria. L’angolo visuale è quello di Salvator Rosa. Incontriamo maschere lungo la strada. Carnevale. Abbiamo camminato per sette o otto miglia. Ci siamo seduti sulle pietre, abbiamo chiacchierato tanto. Bella giornata. Mi ha dato un godimento considerevole. Tornato all’hotel per il pranzo verso le 6. Le strade, di sera, sono animatissime. Andato in giro con il dottore fino alle 10. Al caffè – gli habitués”.
Il giorno successivo, lunedì 16, Melville lascia per sempre la città di Messina. Nella sua nota stilata con la consueta rapidità di scrittura, lamenta la scelta sbagliata di una cabina di seconda classe nella nave della Compagnia Florio, proprio lui, ironia della sorte, ardito viaggiatore a bordo di baleniere, rotto a tutte le dure esperienze della navigazione e ammutinato, anche, in una particolare occasione: “16 Febbraio, lunedì. – Il vapore napoletano diretto a Napoli è partito oggi all’una. Ho preso un passaggio in cabina di seconda e alla fine m’è toccato pentirmene amaramente. Attraversato lo stretto verso Reggio e vi siamo stati alla fonda fino a mezzanotte”.
Nino Principato