Fino al 30 ottobre, la mostra di Alfredo Santoro al Teatro Vittorio Emanuele

Contattaci
Chi siamo
Richiedila Ora

Continua fino al 30 di ottobre la mostra personale di Alfredo SantoroAd ovest la luna s’imbianca”. Il pittore messinese, tra gli artisti decani della città, ha inaugurato lo scorso venerdì 19 ottobre l’esposizione curata da Giuseppe La Motta, con l’introduzione del critico d’arte Mosè Previti.   

Questa mostra vede in esposizione una selezione dei lavori dell’ultimo decennio dell’artista, a fronte di un’attività cinquantennale. In questa ultima stagione l’arte di Alfredo Santoro si conferma nell’alta qualità della produzione e nel tono elegante delle composizioni: gli elementi costitutivi della sua arte si riconnettono ai nodi fondamentali dell’arte del Novecento; vi è una componente specifica, legata al territorio, ma soprattutto una regia intellettuale ed emotiva che unifica questa materia in maniera originale ed organicamente coerente. Catalogo in mostra per le edizioni Mutualpass.   

La mostra potrà essere visitata tutti i giorni, esclusa la domenica, dal 19 al 30 ottobre, nelle fasce orarie 10/13 – 16/19.

"Dal punto di vista stilistico l’arte Santoro discende dal post impressionismo e dal surrealismo, di fatto, già questi due termini ci mettono in connessione con il terzo polo della sua personalità artistica che è quello rappresentato dall'espressionismo astratto americano con tutti i suoi numerosi e prolifici parenti. Questi tre momenti sono tutti antecedenti alla personalità di Santoro che ormai da diversi decenni è assolutamente autonoma e ben riconoscibile. Tale riconoscibilità deriva non solo dalle personalità del suo tratto, netto e cromaticamente potente, ma quanto proprio da un immaginario figurativo, un’iconografia santoriana che ha alle sue spalle un corposo lessico di elementi derivati sia dalla natura: la luna, il vulcano, il mare, le creature marino, sia dal territorio siciliano. Quest’ultimo punto certamente riguarda il rapporto di questo artista con il paesaggio nativo dello Stretto di Messina, ma anche con Giuseppe Migneco, un altro dei suoi principali interpreti. Il paesaggio marino è uno degli elementi più frequentemente evocati da Santoro, tuttavia non siamo di fronte ad un’ispirazione espressionista e territorialmente nostalgica.

Il paesaggio transita in Santoro con le sue energie più sottili e inconsce, il nome non c’è, il suo è comunque e prima di tutto un paesaggio archetipale, primigenio, psicologico, dove le forme sono in bilico costatante con un’ipotesi di riconoscibilità negli elementi della natura e il trionfo formale assoluto, il loro senso più prepotentemente astratto. Questa indefinitezza semantica costituisce la rete su cui l’artista costruisce le sue immagini, una seduttiva dimensione che rifiuta in più casi il posizionamento ortogonale e topologico secondo le logiche della figuratività tradizionale, aprendo sovente la porta ad orizzonti in cui l’occhio sedotto dai squillanti incontri cromatici poi suggerisce alla mente quella dolce e indimenticabile sensazione da sogno estivo che è proprio il frutto principale della regia santoriana.

L’arte di Santoro però non è solo paradisiaca pace, ci sono anche i fremiti di un’energia sensuale e biologica che si innalza dalla sommità del vulcano o fiorisce nella ridda dei tramonti infuocati. I corvi, o certi rapaci notturni sembrano messaggeri di notizie, omen divini che turbano l’apparente calma dell’immagine con la potenza dello sguardo (Falco, 2017), mentre l’intricato avvilupparsi della vegetazione si alterna e si scontra con dei pattern ordinati da quali può fuoriuscire la traiettoria geometrica di una farfalla (Veliero, 2016) o il volo di un uccello (Uccello, 2016). D’altra parte tutte le composizioni di Santoro vivono di questi continui e sottili contrasti di forme chiuse ed aperte, rette e curvilinee, toni caldi e freddi sempre accortamente accostati che in alcuni episodi astratti come Pesca (2009) e Flora Inesatta (2011) hanno delle vette estetiche e concettuali di primo livello per la potenza del colore ma soprattutto per la tessitura aperta e genuinamente imprevedibile [...]" dal testo in catalogo di Mosè Previti.