La Foresta del Camaro: polmone verde nel cuore di Messina
“Per noi che vi salivamo quasi ogni settimana questa incomparabile distesa di alberi acquistava un aspetto familiare, si inseriva sempre più nelle nostre abitudini. Se la prima volta la strada per giungervi ci era sembrata un po' faticosa, poi essa era diventata la nostra passeggiata consueta. Ci abituavamo a considerare sempre più quel luogo di delizia come nostro, anche perché soltanto di rado vi si incontrava qualche persona che non fosse obbligata a salirvi per ragioni di lavoro o per altra necessità. Vi era il sedile per il desinare, l'angolo per la siesta pomeridiana, il belvedere per i più vasti orizzonti. Avevamo conosciuto il custode, la sua famiglia, e individuato la casetta, seminascosta tra le piante, dove egli abitava... Un segreto accordo deve essersi insensibilmente stabilito tra il nostro animo e l’ambiente. In questi casi quel che vediamo diviene idealmente nostro.
Tutto di esso ci appartiene: i mobili arabeschi che il sole attraverso l'intrico dei rami disegna sul soffice tappeto degli aghi dei pineti, le lucenti scaglie di mica affioranti dalle rocce, le rosee e profumate distese di ciclamini, lo slancio fervido dell'edera aggrappantesi agli alti fusti, il chioccolìo sommesso della fonte , che, dopo l'aspra ascesa, ci ha dato la vitrea freschezza del suo ristoro".
No, non si tratta della descrizione del Paradiso terrestre ma semplicemente della nostrana Foresta di Camaro così come la vide, durante un'escursione, Vittorio Callegari nel 1959 fissandone sensazioni ed emozioni in un suo articolo memorabile pubblicato sul "Mezzagosto messinese".
Una celebrata pineta "che un giorno mi sembrò fiammeggiare alla luce di infiniti doppieri - scrive Callegari - per la fioritura di un gran numero di tassi barbassi, dallo strano fiore simile ad un candelabro a molte braccia". Una Foresta antichissima, se si pensa che sul limitare ad ovest esistono ancora i resti della cosiddetta "Casa del Re", echeggianti antichi fasti di regnanti, forse aragonesi, qui impegnati in appassionanti battute di caccia. Ma, il massiccio ed insensato disboscamento per favorire l'agricoltura e la pastorizia, trasformò la Foresta - già appartenuta nel secolo XII ai monaci Basiliani del SS. Salvatore dei Greci - in pascolo: ciò fu causa di micidiali alluvioni il 14 novembre 1823, 13 novembre 1855 e 16 novembre 1863. Per tale motivo, il rimboschimento divenne obbligatorio, per legge, nel 1874: nasceva così l'attuale "pineta di Camaro".
Negli anni Cinquanta vi si accedeva da un cancello che si apriva sulla strada militare, a un paio di chilometri dal Colle Sarrizzo; oppure risalendo il torrente Badiazza per giungere, attraverso un suggestivo sentiero che ha inizio dall'omonima chiesa di epoca sveva, alle "Quattro Strade".
"La foresta del Camaro - ricordava ancora Callegari - con gli ulteriori ampliamenti è divenuta a poco a poco la grande foresta dei Monti Peloritani, costituendo uno scenario di fantastica bellezza a cavaliere di due mari, con un suggestivo luogo di riposo e di pace".
A questo polmone verde nel cuore della città di Messina, Guido Inferrerà, "Professore nella R. Scuola d'Architettura di Messina, Direttore della Foresta Comunale di Camaro" dedicò un volume dal titolo “La Foresta Comunale di Camaro”, stampato a Messina dalla Tipografia Filomena nel 1908. Una monografia esaustiva e al tempo stesso di difficile stesura perché, precisa lo stesso autore, "Non è stata agevole impresa rintracciare tutte le notizie relative alle vicende della Foresta, poiché i documenti, che le si riferiscono, o sono sparsi, e ne viene assai difficile la ricerca, o non esistono più, essendo andati dispersi o distrutti. Nello stesso Archivio Comunale poco e quasi nulla c'è che si riferisce alla Foresta: è probabile che i documenti siano rimasti bruciati nell'incendio provocato dal bombardamento del 1848".
La Foresta di Camaro venne acquistata dal Comune di Messina per sopperire al fabbisogno, sempre più pressante e urgente, di terreni da destinare al pascolo degli animali e di cui, il Comune stesso, aveva il diritto di privativa della macellazione pubblica. I monaci Basiliani del Monastero del SS. Salvatore dei Greci, infatti, a seguito di una vertenza iniziata già nel 1800, cinque anni dopo furono costretti a cedere in enfiteusi al Comune di Messina, a decorrere dal 1 maggio 1806, il loro feudo composto dalla foresta compresa tra i torrenti Camaro e Bordonaro, per il canone di onze 140 (420 ducati). Per la stessa cifra, il Comune affittava poi i relativi terreni ai partitari della carne che, fino ad allora, avevano provveduto direttamente all'affitto del feudo dei Basiliani. Lo scopo era quello di impedire la messa a coltura agraria del feudo che era stata tentata, creando problemi di sicurezza alle sottostanti campagne, garantendo anche la permanenza del pascolo indispensabile per gli animali da macellazione. Dal 1878 al 1880 venne eseguita un'estesissima semina di querce e castagni, poi interventi sporadici e quindi più costanti, fino a quando, nel 1895, la Foresta di Camaro completamente rimboschita fu consegnata al Comune di Messina. Nel 1903 si costruiva un locale, destinato alla Direzione della Foresta, che si affiancava all'altro fabbricato con il piano terra adibito a magazzini e il superiore a caserma delle guardie forestali, già realizzato nel periodo del rimboschimento dal 1878 al 1895. In ottemperanza alle disposizioni del Piano di governo, redatto dall'Ufficio forestale il 30 gennaio 1900 e approvato dal Ministero dell'Agricoltura ("Piano economico per la cultura e rinnovazione della Foresta del I tronco del bacino idrografico di Camaro", Regio Ispettore P. La Fauci, Sotto-Ispettore Pironti), essendovi l'obbligo da parte del Comune di Messina di realizzare un vivaio per il risarcimento dei vuoti nella vegetazione, numerosi ed estesi, la Giunta deliberava il 3 dicembre 1902 la formazione del vivaio, con proposta al Consiglio Comunale di affidarne la direzione della stessa Foresta al prof. Guido Inferrera.
La Foresta si sviluppa in un'area montuosa dei Peloritani, fra i 370 e gli 850 m.s.l.m. (Pizzo Chiarino) con esposizione ad est. Il suo patrimonio boschivo fu ricostituito alla fine dell'Ottocento con alberi di pino domestico (Pinus Pinea), essenza predominante (60 ettari) poiché vegeta bene sui terreni rocciosi ed è ad accrescimento rapido; rovere (Quercus sessiliflora); leccio (Quercus Ilex); sughero (Quercus Suber); cerro-sughero (Quercus Pseudo-Suber); castagno (Castanea vulgaris); robinia (Robiniapseudo-Acacia); pioppo (Populus alba); salice (Salix alba); ginestra dell'Etna (Ginestra aetnensis) ottima, ceduata, per pali da vigna. Altre essenze, meno diffuse, l'olmo (Ulmus campestris); l'acero (Acer pseudoplatanus); il frassino (Fraxinus Ornus); l'ontano (Alnus cordifolia). E poi, arbusti del sottobosco del querceta quali l'erica (Erica arborea); il citiso (Cytisus caudicans); la spina (Calycotome infesta); il corbezzolo (Arbutus Unedo).
Uno dei problemi più rilevanti che nel 1908 Inferrerà metteva in risalto per la Foresta di Camaro era quello dell'insufficiente viabilità. A quell'epoca l'accesso all'area boscata avveniva dal torrente in collegamento con la strada comunale Messina-Camaro; a sud per mezzo di una mulattiera disagiata collegata alla strada comunale Messina-Bordonaro e a nord, dalla strada militare Sarrizzo-Antennammare sulla dorsale dei Peloritani. Sono, a ben vedere, gli stessi accessi di oggi, anche se notevolmente migliorati nella viabilità di collegamento per la copertura dei torrenti Bordonaro e Camaro nei tratti urbani e per la sistemazione delle strade di crinale che dalle "Quattro Strade", ai Colli Sarrizzo, conduce a Dinnamare. Per il resto, i benefici apportati al sistema idrogeologico del bacino del Camaro con la presenza della Foresta rimboscata, furono notevoli e lo stesso Inferrera non mancava di rilevare: "... il miglioramento delle condizioni di sicurezza degli abitanti... il miglioramento delle condizioni climatiche ed agricole del territorio... la difesa contro lo isterilimento delle terre...". Per concludere, poi, con l'affermazione: "L'importanza della Foresta di Camaro, quindi, non deve essere giudicata alla stregua dell'utile finanziario immediato ch'essa può dare, bensì tenendo presente ciò che essa potrà produrre in avvenire, e dei notevolissimi benefizi che la sua presenza produce non soltanto direttamente, ma anche indirettamente sull'economia municipale, ed in genere, sul miglioramento delle condizioni di sicurezza di una vasta zona".
Nel 1997 Legambiente dei Peloritani ha redatto un progetto "per la sistemazione e la fruizione dell'antico bosco comunale dal cui bacino ha origine la fiumara del Camaro".
Si tratta di una serie di proposte, formulate col patrocinio dell'Assessorato Comunale alle Politiche Ambientali, aventi per obbiettivo la valorizzazione della Foresta mediante un'oculata gestione del territorio e divulgazione dell'immagine, creando un circuito di fruizione tale da costituire un'importante risorsa di base per lo sviluppo turistico e un potente strumento per l'educazione ambientale delle future generazioni al rispetto e alla conoscenza della natura e per il rafforzamento della loro identità culturale. Il progetto prevede, in sintesi, l'introduzione di regole per il recupero del paesaggio e dei beni etnoantropologici presenti (ad esempio, gli antichi mulini ad acqua); la redazione della "carta dei sentieri"; la sistemazione di punti panoramici-belvedere con parapetti in legno e panchine in pietra o in legno; la collocazione di capanni per l'osservazione naturalistica; collocazione, nei punti di accesso, di un capanno informativo con un cartellone che esporrà la carta dei sentieri e quella delle presenze botaniche e zoologiche; riutilizzo del fabbricato rurale quale sede di incontri didattici con apparecchiatura per proiezione video e diapositive e biblioteca-centro di documentazione della "Foresta del Camaro"; riutilizzo del vecchio vivaio comunale sottostante con impianto di un "orto botanico didattico" ricostituendo, in spazi ravvicinati, le diverse associazioni vegetali presenti nel bosco.
Indirettamente legato alla Foresta di Camaro è l'antico rito della processione della "Madonnuzza" che si svolge a partire dall'omonima chiesetta sita nell'alta valle del fiume Camaro a metri 482 s.l.m., immersa in una lussureggiante pineta del demanio dei Peloritani. La vigilia della festa, il sabato precedente la penultima domenica di settembre, nelle ore pomeridiane viene trasportata a spalle dalla chiesa parrocchiale di Camaro Superiore la statua raffigurante la Madonna Addolorata ('a Madonnuzza), fino al santuarietto sui Colli Sarrizzo. La domenica il fercolo processionale, con lungo corteo di devoti, percorre sentieri e mulattiere in un suggestivo percorso a stretto contatto con una natura ancora incontaminata, attraverso splendidi ambiti paesaggistici.
"Oltremodo caratteristico - scrive Carmelo Bottari - è il momento cui numerosi cacciatori, per l'occasione radunati, con i fucili da caccia, sparano in onore della Madonna sostituendosi ai fuochi d'artificio, non potendosi quest'ultimi effettuare in montagna". Pellegrini e fedeli, dopo i riti religiosi, si trattengono nei Colli per il pranzo a sacco, in un'allegra scampagnata con intrattenimenti musicali e ludici fino a quando, nel tardo pomeriggio, conclusa la recita del Rosario collettivo, la "Madonnuzza" rientra sempre in processione nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Incoronata.
A monte del santuarietto e ad esso collegati direttamente da un sentiero, sorgono i resti di quella che fu la Colonia Montana "Principe di Piemonte". In un desolato e freddo paesaggio bruegheliano, nel silenzio di morte che sovrasta come una cappa opprimente lo stesso luogo che risuonò delle grida argentine e delle risate felici di bambini anni Trenta e Quaranta, oggi muto ed immemore testimone di giochi spensierati e di sani esercizi ginnici a stretto contatto con la natura che pur si intrecciarono tra fitti e salubri boschi, i ruderi della Colonia mostrano le loro vuote e lugubri occhiaie dalle pareti superstiti, come tragici moncherini da conflitto atomico.
Nino Principato