Un vaso d'alabastro illuminato dall'interno

Contattaci
Chi siamo
Richiedila Ora

Una delle più importanti riscoperte letterarie degli ultimi mesi è a mio parere la pubblicazione dei Diari di Lord Byron col titolo “Un vaso d’alabastro illuminato dall’interno” da parte della casa editrice Adelphi.

Sebbene Byron abbia scritto i diari in maniera disordinata e non continuativa, riusciamo tuttavia, grazie alla traduzione di Ottavio Fatica, a comprendere non solo il carattere e le riflessioni culturali del sommo poeta inglese che si dichiarava “cittadino del mondo”, ma anche il panorama culturale e politico del tempo.

La prima parte dell’opera in questione contiene i diari del periodo inglese - precedenti quindi all’esilio scaturito dal divorzio del poeta da Annabella Milbanke e dai pettegolezzi sui rapporti incestuosi avuti con la sorellastra Augusta – nei quali Byron evidenzia i pregi e i difetti della mondanità inglese, come ad esempio i ricevimenti di Madame de Staël o ancora il clima politico che si respira all’interno della Camera dei Lord di cui Byron ne è stato membro. Molto belle tra l’altro sono le pagine in cui il poeta si sofferma sul suo rapporto con l’illustre commediografo Sheridan e con il futuro vate irlandese Thomas Moore che, a causa dei problemi economici a cui dovette far fronte, non poté evitare la distruzione di parte delle memorie di Byron a cui il poeta aveva affidato la pubblicazione. Tuttavia, da buon amico qual era, Moore riuscì nel corso della sua vita a pubblicare la parte dei diari che riuscì a scampare dal rogo attuato dall’editore Murray, con cui Byron aveva rotto in Italia, e voluto dai familiari dell’illustre poeta. Pertanto è grazie all’autore di The last Rose of Summer che possiamo apprezzare i diari di cui tratto in questa recensione.

Molto toccante è il diario alpino del settembre 1816 in cui possiamo apprezzare il fascino sublime delle Alpi svizzere, le difficoltà incontrate per ascendere in vetta (ricordo che Byron soffriva di piede equino), le visite al castello di Chillon (esperienza che lo indurrà a scrivere una famosa poesia), ai luoghi in cui vissero Voltaire e Rousseau e la visita alla tomba di due esuli inglesi, il generale Ludlow e Broughton, che avevano condannato a morte Carlo Stuart negli anni della Rivoluzione inglese del Seicento.

Di fondamentale importanza per la comprensione del Risorgimento italiano si rivela il diario ravennate del 1821. In questo diario Byron descrive e analizza l’andamento dei moti carbonari e dello spirito rivoluzionario italiano del tempo con un acume senza pari. Auspica il successo del moto napoletano da cui dipendono la riuscita di tutti gli altri: in particolare quelli dell’Italia centrale contro le truppe pontificie e quelli del settentrione contro l’esercito asburgico. Encomiabile è l’odio che il poeta riversa verso gli Asburgo, come anche gli fa onore la pietà verso il nemico sconfitto. In una pagina del diario Byron ordina alla servitù di prestare soccorso al soldato pontificio morente davanti alla porta del palazzo nobiliare in cui risiedeva.

La sconfitta del moto napoletano del 1821 si estende anche agli altri moti italiani, compreso quello ravennate. Da questa esperienza Byron trae la conclusione come il problema della nazione italiana sia da individuare nello spirito di fazione, nelle divisioni interne tra i vari rivoluzionari. Affermazione valida più che mai anche oggi, considerata la tendenza dell’opinione pubblica di mettere in discussione il Risorgimento Italiano che ha condotto alla tanta agognata Unità d’Italia sotto i Savoia.

Di notevole rilevanza sono inoltre i “Pensieri slegati” del 1821-1822 attraverso i quali Byron mostra al lettore l’evoluzione del suo pensiero, dagli anni giovanili fino alla maturità artistica, ricordando le amicizie e le personalità che hanno inciso sul suo carattere e sulla sua intelligenza. Prendiamo così conoscenza delle prime amicizie scolastiche, del giorno in cui seppe a scuola della morte dello zio (il Lord malvagio) e che avrebbe ereditato da lui titolo e sostanze; come ancora degli anni a Cambridge: di quando girava per l’università con un orso al guinzaglio, dei tutor che ha avuto, delle giocate a carte con gli amici nelle bische clandestine; o ancora di quando iniziò a scrivere poesie, dei primi amori e dell’aquila del Parnaso che vide con Hobhouse (l’amico di una vita il cui intervento si rivelò decisivo per la distruzione delle memorie di Byron) durante il Grand Tour che gli diede spunto per il Childe Harold.

Infine di notevole importanza storica – non inferiore a quella del diario ravennate – è da considerare il diario di Cefalonia tenuto da Byron durante la rivoluzione greca a cui lui prese parte e vi trovò la morte. In queste pagine apprendiamo le speranze e le delusioni del poeta sull’andamento della guerra d’indipendenza contro gli ottomani; il difficile compito di guidare i sulioti (mercenari di origini albanesi avidi di denaro) in battaglia e la descrizione dei prodromi della malattia che lo condurrà alla morte a Missolungi il 19 Aprile 1824, il Lunedì dell’Angelo.

Nel mese in cui ricorre la liberazione dell’Italia dal nazifascismo ho voluto ricordare un poeta martire della libertà e che con coerenza si è battuto per i propri ideali libertari, anche per quei popoli che non lo riguardavano direttamente come quello italiano e quello greco, fino all’ultimo respiro.

Dal primo discorso in Parlamento in cui Byron ha preso le parti degli operai luddisti che distruggevano le macchine per rivendicare un aumento del salario alle lotte rivoluzionarie in Italia e Grecia, Byron si è sempre schierato dalla parte degli oppressi e contro i tiranni e le ingiustizie senza scadere mai nel fanatismo. Il suo amore per la libertà era vero e autentico e temeva tanto le divisioni quanto l’onnipotenza di chi detiene il potere. È per questo che per lui Silla è stato il più grande politico della Storia – molto più di Napoleone – per aver rifiutato il potere quando era giunto al culmine della popolarità.

Con uno stile secco, tagliente e vivace Byron unisce sapientemente lo spirito settecentesco inglese a quello romantico, di cui lui già in vita diverrà uno dei massimi esponenti, per gettare luce in un’epoca contradittoria fervida di correnti culturali e di agitazioni politiche.

Roberto Cavallaro