“Non riesco a fuggire” cantava Adrian Borland in I can’t escape myself, canzone introduttiva di Jeopardy, album d’esordio dei Sound, di cui era leader, pubblicato dalla Korova nel 1980.
Eppure il percorso di fuga avviato dalla Band d’oltremanica era dei migliori, anche se poi, inspiegabilmente, il gruppo non ha avuto il successo che meritava e che ha arriso diversi altri gruppi della nascente new wave, malgrado il loro sound innovativo non mancasse di nulla per emergere.
Siamo alla fine degli anni ’70, epoca in cui, sulla scena internazionale, da anni, primeggiava il punk, con gruppi storici come i Sex Pistols, i Clash prima maniera, i Devo e con vere e proprie icone, come Iggy Pop.
Ma secondo l’ancestrale regola dei corsi e ricorsi storici, in inghilterra prendeva il via una nuova scena, in contrapposizione alla frenesia del Punk, per l’appunto divenuta nota come new wave, dove il ritmo forsennato del Punk lasciava spazio ad atmosfere più rarefatte ed introspettive; le musiche erano attraversate da un lirismo assolutamente nuovo ed una sensibilità oscura e sofferta -- tipico dei Cure di Robert Smith o dei Joy Division di Ian Curtis, antesignani del genere e vere e proprie band leggendarie. -- condita da echi psichedelici e da una vena lugubre.
Anche i Sound intraprendono questo percorso. Ad Adrian Borlan (chitarra e voce) si aggiungono Graham Green (Basso), Bi Marshall (tastiere) e Michael Dudley (batteria) che esordiscono con Jeopardy, vero disco della Terra di mezzo che disegna il passaggio dalle sonorità del Punk a quelle più rarefatte della dark wave, con suoni scarni ed essenziali da una parte ed una adrenalina punk evidente nei riff chitarristici, dall’altra. Ma quello che prevale è lo splendido spleen struggente e desolato, tipico suono dark wave che dominerà la scena britannica degli anni 80.
Come detto la canzone introduttiva è I can’t escape myself, contrassegnata da un incedere ipnotico, con una cupa sezione ritmica che si apre a degli indimenticabili riff di chitarre in distorsione, per poi spegnersi improvvisamente. Heartland, così come Words fail me ed Heyday, schiaccia l’occhiolino al punk, in termini di velocità e ritmica anche se le sonorità sono più oscure ed elaborate. Bellissima Jeopardy dal ritmo sincopato, contrassegnato dalle tastiere di Bi Marschall. La perla del disco è sicuramente Missiles, l’inno antimilitarista di Borland, che esprime in pieno tutto il suo idealismo musicale, imprimendo al brano un commovente e disperato crescendo, con voli radenti di chitarre in feedback e spaventose tastiere a mimare quasi i sibili degli aerei da guerra. Un gioiello. Meritevoli di menzione sono anche le atmosfere dark di Night versus day ed il rock’n’roll paranoico di Resistance. Il disco si chiude con Desire, degna dei migliori Bauhaus.
Jeopardy è senza dubbio uno dei lavori più interessanti della scena new wave britannica costituendo, con la sua musica oscura e minimale e con testi che narrano la desolazione quotidiana e il disagio esistenziale giovanile, tappa obbligata per chi vuol approfondire la scena post-punk britannica della fine degli anni settanta. Buon ascolto.
Maurizio Cucinotta