Nel pieno delle festività di Carnevale vogliamo raccontarvi alcune storie, usi e tradizioni della festa mascherata nella Messina di un tempo.
Le prime notizie risalgono al XVI secolo, quando “durante il Carnevale in tutte le case e le botteghe sia della campagna che della periferia della città, si ode negli ultimi giorni fino a tarda notte un saltellio di piedi cadenzato sul ritmo del cembalo (Tammureddhu) o dell’archetto del violino”.
A caratterizzare ed animare tutte le festività dell’anno, in particolar modo quelle carnevalesche, con i loro stornelli erano i cantori a “ciuri di pipi” (o ciuriddhi ‘i pipi), così chiamati perché i loro abiti ricordavano i fiori del peperoncino, indossavano infatti una camicia bianca stretta alla cintura, pantaloni ugualmente bianchi e un berretto, chiamato meusa, dello stesso colore da cui pendevano lunghi nastri rossi. I cantori si accompagnavano di solito ad un suonatore di chitarra o strimpellavano loro stessi lo strumento, intonando per strada, ai loro "clienti" occasionali, alcuni improbabili versi di lode o, più esplicitamente, versi irriverenti e di scherno chiedendo alla fine dell’esibizione un'offerta.
Ed è sempre in questo periodo che comincia la tradizione, in uso soprattutto nella classe popolana, di travestirsi nei modi più strani possibili ed andare in giro per le strade facendo scherzi a chiunque, attaccando ai malcapitati una coda di carta o uno straccio qualsiasi. Già a quel tempo, sulle tavole dei messinesi, abbondavano i “maccarruni” con ragù di maiale, la “pasta o funnu”, le polpette che piacevano ai bambini, ma che aspettavano soprattutto la distribuzione generosa della pignolata, un dolce composto da palline di pasta fritte nello strutto e poi assemblata in mucchietti ricoperti con glassa di cioccolato ed al limone, e delle chiacchiere, croccanti e delicate sfoglie fritte.
Dalla commedia dell’arte del XVII secolo nasce invece la maschera Siciliana più famosa, Peppe Nappa (o Benne Nappa) la cui origine pare essere proprio a Messina. Il nome è composto da Peppe, diminutivo dialettale di Giuseppe e “nappa” che significa toppa dei pantaloni e contribuisce a caratterizzare il soggetto, associandolo alla miseria che è rappresentata dalle pezze su abiti laceri. Il costume è composto da una casacca con grandi bottoni e dei calzoni azzurri, entrambi molto ampi e lunghi, un cappello di feltro bianco o azzurro su una calotta bianca e delle scarpe bianche con fibbia.
Peppe Nappa era un servo fannullone che non eseguiva i compiti assegnatigli dal padrone (il barone) ma che pagava a caro prezzo le conseguenze dei suoi atteggiamenti quando veniva scoperto. Sua caratteristica peculiare del carattere è la golosità, vizio che supera di gran lunga la sua proverbiale pigrizia. La sua fame insaziabile fa della cucina il suo ambiente favorito, e del cibo il suo primario interesse.