Alter/navite - Stello Quartarone

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ALTER/NATIVE

Da quattro decenni Stello Quartarone, nel suo giocoso lavoro solitario, sperimenta tecniche e materiali con una certosina foga creativa che è il motore principale del suo fare. Un outsider dalla personalità sfaccettata e quasi bizzarra, sostenuta da una generosa delicatezza umana e da una “smania” di manipolazione della materia che, ricorda egli stesso, faceva sì che già il nonno, nel cui laboratorio si rinchiudeva per ore ancora adolescente, lo appellasse affettuosamente faber.
Quartarone giunge a questa mostra avendo sempre dialogato con la materia, di volta in volta diversa, e con le sue caratteristiche e peculiarità, come un alchimista intento alla metallurgia alla corte di Rodolfo II, l’artista curiosa e ne sperimenta la duttilità, la densità, gli stati di aggregazione e la trasformazione traendone la massima capacità espressiva pur continuando a seguire sempre il suo codice etico e tecnico. 
Parafrasando Rousseau verrebbe da dire “Stello o della libertà”, libertà di un artista in grado di meravigliarsi e che mantiene a tratti l’ingenuità del bambino, libertà dovuta ad un approccio con l’arte da autodidatta che gli ha fatto scoprire e gustare fuori dagli schemi accademici i grandi del passato in un confronto fra il proprio e l’altrui mondo interiore scevro da qualsivoglia sudditanza.

Questo magma arcaico, questa theia mania si radicano e si consapevolizzano a partire dal 1994, anno in cui conosce il Dottor Matteo Allone, psichiatra e psicologo analista, col quale collabora alla promozione dei linguaggi artistici presso l’ospedale “Mandalari”. Le relazioni si intersecano, “scopre” Gaetano Chiarenza, sono anni intensi a partire dai quali, affamato di esperienze, di contatto con “l’altro”e di cultura, approfondisce la relazione tra la sfera psichica e l’arte visiva.
Questa, in sintesi, la genesi di Alter/Native, mostra dedicata alla dualità e all’armonizzazione degli opposti sintetizzati negli archetipi junghiani Anima/Animus.
Le opere esposte sono un centinaio, comprese tre installazioni; si tratta quindi di una mostra complessa, nonostante l’apparente aspetto giocoso, perché complesso e faticoso è scrollarsi di dosso convinzioni sociali e personali costruite lungo un’intera esistenza e riscoprire l’infantile creatività e il potenziale individuale, scendere nell’abisso dell’io e riuscire a raggiungere la realizzazione esistenziale. Il percorso è obbligato non potendo prescindere da un incipit che è insieme affettivo e tematico: il Liber Novus di Jung.
Al centro, su un leggio, si staglia il Libro Rosso da cui scende un cartiglio in alluminio in cui dodici frasi tratte dagli scritti del grande psicanalista svizzero, invitano il pubblico a prendere posto su una sedia antistante per entrare nell’atmosfera dell’esposizione. È un altare laico completato da due lampade che si fronteggiano e che, mescolando i propri colori (rosso per l’Anima, blu per l’Animus), armonizzano appunto l’alterità, mentre un terzo elemento, in alto, ne rappresenta la chiave di lettura. Si tratta del Daimon, una “forma latente”, un’opera realizzata a fuoco su tavola con pece e resine, un’ombra che fa da tramite nel dialogo tra l’ego e l’inconscio e che, se manifesto, illumina la vita palesandoci la nostra vocazione che, come scrive Jung, opera “quella lotta contro la morsa paralizzante dell’inconscio e suscita forza creativa nell’uomo”. A ben vedere quindi si tratta del dio greco dispensatore di destini, più che della sua versione maligna giudaico-cristiana benché dal punto di vista visivo richiami le minacciose ombre di talune opere preromantiche o espressioniste non ultima quella che, informe, incombe sulla ragazzina di Munch in Pubertà.

A partire dal Daimon, tutto scorre, le stanze interiori si snodano, gli stati d’animo si dipanano. L’artista costruisce e reinventa forme seguendo l’estetica surrealista dell’objet trouvé con un approccio non concettuale ma istintuale e manuale. Questo processo è consapevole come testimonia lo stesso autore “ho liberato i miei colori dai loro contenitori dandogli la possibilità di incontrarsi….loro hanno liberato la mia fantasia dandomi la possibilità di non riflettere”, le sue creazioni tirano fuori dall’inconscio forme spettacolari, paradossali, non necessariamente belle in senso tradizionale, ma intuitive e inimitabili, forme che sono immaginate, visualizzate nei colori, nel materiale, nelle dimensioni e mai progettate con disegni preparatori.
Ogni segno in queste opere, nel momento in cui ribadisce la propria identità fattuale, è chiamato alla sua funzione evocativa ed onirica e come tale non può essere univoco dando corpo ad una folla di immagini che sgorga senza sosta dalla coscienza secondo un purezza “primitiva” non filtrata.
Quartarone esplora la frammentazione con la pratica del collage creando immagini che hanno il valore della sedimentazione psicologica in cui il segno calligrafico diventa il compendio di variegate esistenze della coscienza, si tratta di inchiostri su cartoncino lucido immersi nelle pieghe di tessuti bloccati dalla resina, così come incorniciati da queste stoffe irrigidite sono anche le cellette binate in blu e rosso o in nero e bianco. Nel dare valenza di epifania a materiali di ogni genere ecco frammenti di tappeti di lana diventare giardini o strutture romboidali da imballaggio in cartoncino trasformarsi in isole interiori. 
Un cenno va assolutamente fatto sull’installazione con due bambini, un maschio e una femmina originariamente blu il primo e rossa la seconda e adesso completamente bianchi, che inondano della propria luce la seconda sala espositiva. Giocano a palla e giocando sanano il dolore e la ferita rappresentata dalla linea rossa che divide in due il mondo; giocano e nel gioco, che è un’attività fine a se stessa, sperimentano la libertà per il solo piacere di esprimersi. E’ la stessa sensazione che può avere anche un adulto quando è calato in un’attività che lo assorbe completamente: perde i parametri del tempo e dello spazio intorno a lui, non conosce la dimensione dell’ansia e il suo corpo è un tutt’uno con la sua mente. La piena immersione permette alla fantasia di dispiegare le sue ali e il mondo si trasforma….
“Indipendentemente da ciò che crei, non è importante che tu dipinga o scolpisca, oppure che tu faccia il giardiniere, il calzolaio o il falegname. E’ importante che ti chieda: sto riversando tutta la mia anima in ciò che creo?” Osho.

 

Mariateresa Zagone