a cura di Enzo Caruso
Il 5 luglio 1904 un fulmine a del sereno si abbattè sulla tranquilla città di Messina con una notizia che presto rimbalzò sulle pagine dei maggiori quotidiani nazionali. Le testate giornalistiche italiane riempirono a pieno titolo le pagine dei quotidiani: il sensazionale arresto di un capitano del Distretto che viene arrestato insieme alla moglie a Messina per Alto Tradimento!", "Il delitto di lesa Patria compiuto dal Capitano Ercolessi. Sottrazione dei piani di mobilitazione. L'oro francese. 300 fotografie vendute alla Francia". Il giovane Capitano di Fanteria Gerardo Ercolessi e la moglie Guglielmina Zona, venivano arrestati nella loro abitazione di via Palermo a Messina con l'accusa di aver sottratto e venduto ai francesi i piani di mobilitazione riferiti alle fortificazioni e alla difesa territoriale dello Stretto. Il fatto, che attaccava la sicurezza dello Stato, venne giudicato come uno dei più atroci delitti, che non concedeva nessuna pietà verso il traditore della Patria.
La pena, qualora il fatto fosse stato accertato, si sarebbe dovuta applicare in tutto il suo rigore. L'eccezionalità del caso, senza precedenti, fece nascere in proposito un ampio dibattito; alcuni giornali scrissero che il capitano Ercolessi doveva essere punito con la fucilazione alla schiena, altri affermarono che questi sarebbe dovuto essere giudicato, insieme alla moglie, dal Tribunale militare, ed altri ancora sostennero che il giudizio doveva invece essere espresso da magistrati ordinari e che agli imputati si sarebbe dovuta applicare la pena stabilita dal Codice Penale Civile. Per la prima volta dall'Unificazione, il giovane Stato Italiano veniva coinvolto in modo travolgente in un fatto di spionaggio militare.
L'opinione pubblica restò fortemente scossa dell'accaduto ed il fatto destò profondo turbamento e disprezzo per gli attentatori alla sicurezza nazionale; ma, malgrado lo sdegno, la gente si augurò invano che, per il buon nome dell'Esercito e della donna italiana, il capitano Ercolessi e la sua Signora arrivassero a provare nel periodo istruttorio o nel dibattimento la loro innocenza, al fine di poter affermare con orgoglio che "la Patria non era stata tradita da nessuno dei suoi figli". Un analogo caso si era verificato in Francia nel 1894 con l'arresto di Alfred Dreyfus, un ufficiale di artiglieria dell'esercito francese, ebreo alsaziano, accusato di spionaggio a favore della Prussia. Fu arrestato, condannato e mandato ai lavori forzati e non fu riabilitato che da un verdetto della corte di Cassazione emesso, dopo dodici anni, nel luglio del 1906. A cavallo tra l '800 e il '900, in un clima intriso di diffidenze e tensioni sempre più accentuate tra gli Stati Europei con particolare riferimento all'Italia nei confronti della Francia e dell'Austria, lo spionaggio militare aveva ricevuto un notevole impulso orientato a carpire strategie, soluzioni difensive e piani di mobilitazione degli altri Paesi. L'Italia, dal canto suo, aveva intrapreso un esteso programma di difesa dei propri confini e delle coste, investendo ingenti capitali in armamenti e nella costruzione di imponenti fortificazioni costiere e di montagna.
Un programma che certamente non poteva passare inosservato agli agenti segreti austriaci e francesi al punto che, nel 1894 il Tenente di Vascello Cari Didelot, riferendosi ad informazioni degli archivi segreti della Marina Francese, pubblicava a Parigi "La Dèfence des Còtes d'Europe" in cui forniva una descrizione dettagliatissima della difesa costiera dello Stretto e degli armamenti contenuti nelle fortezze. Malgrado gli accorgimenti tattici osservati nella costruzione dei forti messinesi e calabresi in merito alla mimetizzazione del fronte a mare, che rendeva le opere totalmente invisibili al naviglio circolante nelle acque dello Stretto (l'aereo non era ancora in uso all'esercito), l'ufficiale francese ne descriveva, con dovizia di particolari, la posizione sulle alture facendo particolare descrizione di uomini e artiglierie. Lo Stretto di Messina, punto nevralgico del Mediterraneo, era quindi fortemente "attenzionato" dai servizi segreti stranieri. Dopotutto, le affermazioni del Tenente Generale Luigi Mezzacapo, Presidente della Commissione Permanente di Difesa dello Stato nel 1883, sottolineavano l'importanza strategica dello Stretto e della sua difesa al fine di assicurare il possesso della Sicilia e costringere una flotta nemica, che avesse voluto far rotta verso Oriente, a dover circumnavigare l'isola. "Fino a quando saremo in possesso dello Stretto di Messina, le invasioni francesi in Africa non impediranno all'Italia di prendere la posizione che le compete nel Mediterraneo" D'altro canto, nei primi anni del '900, il controspionaggio italiano si era preoccupato di intensificare la propria attività perchè numerosi indizi lasciavano presupporre che qual-cosa di grosso stava "bollendo in pentola".
L'Arresto del Capitano Ercolessi ne fu la prova lampante. L'intrigante caso di spionaggio militare verificatosi a Messina, in cui documenti segreti, cifrari di mobilitazione e piani di fortificazioni venivano trafugati e venduti ad agenti segreti stranieri, in un clima di precari rapporti diplomatici tra gli Stati europei, intriso di diffidenze e compromessi politici, condusse ad un lungo processo innanzi alla Corte d'Assise di Messina che si sviluppò in venti udienze. L'intero processo è raccontato in maniera dettagliata nella pubblicazione curata dal sottoscritto, 91 Caso Ercolessi" edito dall'Istituto di Studi Storici "Gaetano Salvemini" nel 2007, con una prefazione del Prof. Santi Fedele e un contributo del Giudice Franco Chillemi. Per un intero anno, testate come Nazionali II Corriere della Sera, Il Mattino Illustrato. La Tribuna Illustrata, riportarono sulle prime pagine le fasi del processo. La cronaca dei fatti offre un prezioso spaccato della vita cittadina ed un pezzo di storia sconosciuta (forse volutamente dimenticata) che, associata ad altri elementi, contribuisce alla ricostruzione del puzzle, sempre mancante di particolari e sfumature, che riguarda la storia messinese compresa tra il XVIII e il XX secolo. Le indagini, iniziate grazie alle dichiarazioni di un informatore, culminarono nell'efficace intervento del Tenente Blais che, sotto mentite spoglie di agente segreto francese, aveva contattato i coniugi Ercolessi per raccoglie ulteriori e decisive prove a loro carico. Le perquisizioni, contestuali all'arresto degli Ercolessi, consentirono inconfutabili acquisizioni documentali, rispetto alle quali gli imputati non poterono che barcamenarsi tra parziali ammissioni e poco credibili tentativi di sminuire o negare le proprie responsabilità. Con una specialissima macchina fotografica, l'incauto Ercolessi, aveva fotografato i piani delle fortificazioni custoditi nella cassaforte del Distretto militare di Messina e poi, con la complicità della moglie, aveva attivato una deplorevole corrispondenza con agenti segreti francesi.
Il Processo
Il processo innanzi alla Corte d'Assise di Messina, raccontato in maniera dettagliata dalle cronache giornalistiche, che ne consentono una compiuta ricostruzione, si sviluppa in venti udienze. Ascoltati i testimoni e presentate le richieste di condanna dell'accusa, gli avvocati della difesa ingaggiano una battaglia spettacolare, quasi da palcoscenico, di fronte ad un popolino per lo più ignorante, ma attento spettatore, pronto ad applaudire ed osannare ora l'uno ora l'altro oratore che ha fatto sfoggio di un forbito ed eloquente linguaggio, pieno di termini a volte incomprensibili, di citazioni latine e di pesanti attacchi contro i testimoni dell'accusa.
La difesa prova a screditare addirittura il tenente Blois dei Carabinieri accusandolo di aver istigato, con il suoi sotterfugi, il Capitano Ercolessi al tradimento. Messina è sulla bocca della Nazione! Ma la Tribuna, a difesa delle consuete accuse verso il Sud, titola: "...della famiglia di traditori arrestata a Messina, la donna è veneta e l'uomo è pescarese, che tutti e due sono cioè del versante Adriatico. Quindi questa volta non si potrà accusare il Mezzogiorno!"
Alla cronaca seria, si affianca a Messina quella satirica del Marchesino che aggiunge al lungo elenco dei problemi cittadini, fra cui una violenta grandinata abbattutasi sulla Città, anche la sventura del Tradimento del capitano Ercolessi, che impone all'attenzione degli Italiani l'immagine già negativa di Messina.
IL MARCHESINO — 12 LUGLIO 1904 LA CITTA DOLENTE Tutti i guai piombano su questo paese disgraziatissimo, il quale deve essere sotto l'influenza d'una tremenda jettatura. Sarebbe l'ora, parmi, che un papas greco venisse a benedire questa città che, se ebbe le iniziative del patrio Risorgimento, ha tutte le iniziative delle sciagure umane.
Venga a benedirci un papas greco e si appendano in magnifico gruppo allo stemma della città, l'aglio, la grattugia, il sale in pietra e il peperone rosso. Da noi non ne accade mai una buona.
Mentre nella città benedetta dalla Madonna, giunge, nemica sterminatrice, una grandine di speciale calibro a rompere tutto ciò che è rompibile e a far dei campi nostri quei campi che prediligeva la buon'anima di Attila, al Distretto nostro un capitano fa una pastetta con cifrari, orari e piani di guerra e che so io.
E Messina é nella bocca di tutto il mondo, non perché in essa sia spuntato un nuovo sole, ma perché dal Padre Eterno e dal capitano Ercolessi è stata fatta la città della grandine e del tradimento.
C'eran tanti siti dove il Padre Eterno poteva mandare la grandine: è cosi il mondo!
C'eran tanti distretti dove si potevano fare i tradimenti.
Nossignori: il centro fatale deve essere Messina. Non è questa una jettatura? Venga il papas greco a noi: vengano l'aglio, la grattugia, il sale e il peperone a preservarci da ulteriori mali e cosi sia.
E anche il popolino, che segue giornalmente le fasi del processo, come una telenovela, non si esenta dal commentare ed esprimere le proprie opinioni, riportate dalla Gazzetta:
GAZZETTA DI MESSINA E DELLE CALABRIE
IL NOSTRO POPOLINO.
L'alto tradimento compiuto dal capitano Ercolessi ai danni della Patria interessa, oltre alle classi elevate borghesi ed operaie della nostra cittadinanza, particolarmente il popolino che ha parole roventi contro il traditore:
" l'hannu a fucilari a stu malanova!"
"'Nni vulia vinniri e' francisif
" Fannu bonu si u fucilanu!"
Queste frasi, che abbiamo raccolto al volo rivelano altamente lo spirito patriottico e l'alto sentimento d'italianità del nostro popolo che lancia giustamente anatemi contro colui che della Patria si è reso degenere.
E' come una nuova febbre che contagia tutti; il caso Ercolessi é l'argomento che per un anno intero tiene banco sulle pagine dei giornali; nei caffè, nelle piazze, nei salotti non si parla d'altro. Viene definita come una nuova malattia:
"L'Ercolessite", ecco la nuova malattia di cui é contagiata l'opinione pubblica. Una malattia che deforma i personaggi coinvolti, restituendo di essi particolari travisati e fuorvianti. Una malattia che fornisce ai poeti e ai commediografi, ispirazioni compositive.
Al termine del processo, facendo leva sulla pietà popolare per i figli degli Ercolessi, e forse più ancora sull'inveterato sospetto e sul dubbio acritico verso l'operato degli investigatori, gli avvocati della difesa riescono ad ottenere, contro l'evidenza delle prove, la piena assoluzione di Guglielmina Zona e una condanna più mite del previsto per Gerardo Ercolessi.
La lettura dei resoconti delle diverse testate locali e nazionali messe a confronto evidenzia punti di vista diversi e, mentre il "Marchesino", testata satirica messinese, continua ad offrire un divertente intermezzo di notizie che si contrappongono alla drammaticità e serietà della vicenda, il *Corriere della Sera" formula un severo giudizio critico sulla decisione della Corte d'Assise.
IL CORRIERE DELLA SERA — 7 LUGLIO 1905, PER DISPACCIO DA MESSINA La mitezza del verdetto, da cui derivò la condanna relativamente mite, fu il prodotto dell'ambiente inquinato da una inconcepibile simpatia verso gli accusati, ripugnante per l'azione commessa e pel contegno tenuto dippoi. Ma se la mitezza può non trovare ostile la pubblica opinione, altrettanto non sarà certamente delle manifestazioni che accompagneranno la lettura del verdetto: fischi per l'ammissione di un reato, entusiasmi per l'esclusione dei reati successivi — cosicché la folla avrebbe voluto che i giurati negassero finanche che l'Ercolessi si fosse reso colpevole di ripetute sottrazioni da lui confessate, di documenti di mobilitazione custoditi al Distretto Militare di Messina. Quest'uomo che ha macchiato il suo onore di uomo e di soldato, che lascia in retaggio a dei figli, i soli degni di compianto, un nome cosparso di vergogna, non meritava questi eccessi di solidarietà, per quanto essa appaia come l'inconsapevole ed irresponsabile effetto di fragorosità oratoria per le quali il vero colpevole di tradimento per poco non appare quel povero tenente Blais che aiutò a scoprirlo, sventando così la possibilità che documenti ulteriori fossero con frode di fiducia e per ignobile scopo di lucro, ceduti ad un possibile invasore della Patria nostra. Se deplorevole fu il linciaggio che accompagnò in Francia il caso di spionaggio attribuito a Dreyfus, più indegno appare certamente l'inversione di sentimenti manifestatasi a Messina ove, per poco, al traditore confesso del proprio Paese, non si tributò un trionfo. Sia pur mite la pena per il colpevole, ma non mite sia il disprezzo per l'opera sua.
Concluso il processo, la mattina del 14 gennaio 1906, dopo sei mesi dalla sentenza della Corte di Assise, il capitano Ercolessi viene ignominiosamente degradato ed espulso dall'Esercito nella piazza d'armi della Cittadella, si poneva così la parola fine ad una vicenda che per un anno e mezzo aveva riempito le cronache dei giornali, destando l'interesse, la curiosità della gente colta e del popolino, provocando un acceso dibattito che, nel bene o nel male, aveva portato la città di Messina all'attenzione del Paese.
Ma il processo, conclusosi con una rocambolesca e mite sentenza, offre una chiave di lettura di un fatto di cronaca, volutamente dimenticato dalla storia, paragonabile a quella dei processi scomodi che appartengono anche alla cronaca recente. La mite pena inflitta al capitano Ercolessi e l'assoluzione della moglie Guglielmina Zona fu davvero dovuta al buonismo dei giurati e alla pietà popolare suscitata dagli avvocati difensori? Come mai, malgrado prove inconfutabili, raccolte in anni di pedinamenti e di indagini incrociate, effettuate anche oltre i confini dello Stato Italiano, il gran polverone alzatosi con il caso Ercolessi, si risolse con una sentenza che imputava al Capitano la sola colpa di aver sottratto documenti riservati e negando di aver venduto, a Stati Stranieri, importanti rivelazioni relative alla difesa del Paese?
Le gerarchie militari erano riusciti ad ottenere, dopo estenuanti battaglie parlamentari, enormi stanziamenti per le fortificazioni e gli armamenti ottenuti dietro assoluta garanzia come deterrente contro qualunque invasione nemica e per assicurare una pace duratura. La popolazione era stata conseguentemente tassata per il sostegno delle suddette spese finalizzate alla difesa del Paese.
E' allora ipotizzabile che il Governo abbia in qualche modo potuto condizionare il processo, preoccupato di mostrare il fianco ad accuse di incapacità a difendere i propri confini, di debolezza nell'apparato di controspionaggio e innescare, con una più dura sentenza del Tribunale, una falla nella diffusa convinzione che la strategia di investimento e di tassazione fosse l'unica perseguibile per far si che il giovane Stato Italiano potesse sedere a pieno titolo al tavolo delle Grandi Potenze Europee. Ammettere che la vendita di documenti segreti, riguardanti la difesa dello Stato, ad altri Paesi, fosse veramente stata possibile, avrebbe certamente dimostrato il contrario. Purtroppo, la documentazione a riguardo non consente di accertare il dubbio, che però, come nella fantasia di qualunque racconto, potrebbe fornire una chiave di lettura di quei tanti misteri che, agli occhi dei "comuni mortali", rimangono nella storia, sempre pieni di punti interrogativi.