Affinità Elettive

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L'arte di vedere non può condividere spazio alcuno

con una visione orientata alla visibilità degli oggetti

(Paul Valery)

di Patrizia Danzè

 

La pittura come predicato del vivere accomuna otto pittori messinesi che hanno abitato e continuano ad abitare la pittura come dimora abituale, come ethos che li accoglie e li interroga. Una pittura che diventa voce della coscienza, espressione e memoria. Non solo mero segno, ma istanza di linguaggio, "parola ' che apre e abbraccia, inventa e incanta. Sarà l'influenza della Muso (e si sa che le Muse sono figlie di Mnemosyne, la memoria), sarà la bella maturità che condividono, ma essi stanno da tanto tempo insieme nella pittura come in uno spazio di affinità elettive, in una militanza di dialogo ma anche di meditazione silenziosa, perché il silenzio è la condizione ideale per fare pittura, leggere, scrivere, ascoltare musica.

Plutarco, in ossequio al canone policleteo, pensava che la bellezza coincidesse con l'individuazione di un kairos, un punto giusto dell'immagine, un'occasione, e il kairos, l'occasione, il momento opportuno oggi è qui, con "Affinità elettive", un incontro speciale di otto amici e artisti, incontro che è un ritorno alle antiche complicità, che li riunisce ognuno col proprio linguaggio e stile. È molto difficile far parlare un artista del proprio vissuto (se non per cenni generici) o delle sue osservazioni sulla vita, ed infatti questa brigata di amici non lo ha fatto, come è giusto che sia. Anche perché la strada che porta dalla vita all'arte è spesso tortuosa e difficile da seguire, e da spiegare.

Dunque, dopo aver "incontrato" Alvaro, Nino Cannistraci, Pietro Mantilla, Nino Rigano, Bruno Samperi, Alfredo Santoro, Piero Serboli, Togo, di una cosa mi rendo conto: che l'unica vita possibile per tutti era quella dell'arte, come se nella loro gioventù, nella Messina degli anni Sessanta o Settanta o Ottanta (i nostri amici sono anagraficamente figli di anni diversi), variamente ricca di stimoli o eredità culturali ancora ben vivi, fossero stati pungolati da una convinzione: ogni altra vita che non fosse quella artistica, sarebbe stata all'insegna dello scacco o dell'insufficienza. Certo, ognuno ha seguito la sua strada e con la vita intellettuale o professionale alcuni di essi si sono misurati; altri sono andati via, perché era necessario farlo, altri ancora sono rimasti, tutti rinunciando a qualcosa, scegliendone altre, brancolando tra inquietudini, incertezze (o certezze), difficoltà. Ma con una inquietudine incessante sopra tutto: l'assoluto dell'arte, destino e avventura della propria vita.

Inizialmente, si trattava e si è trattato per tutti di confrontarsi con la "Realtà". Nabokov diceva che si tratta di parola usabile soltanto tra virgolette e -si sa- il problema del realismo è uno dei più seri e annosi della storia delle arti e delle letterature. Perciò, senza sottrarsi agli aspetti fisici della realtà né trascurare gli aspetti etici, gnoseologici, logici dell'esperienza, i nostri artisti hanno accolto la "necessità" del "reale", ma tuttavia di tutti i "reali" possibili, o impossibili, come le biblioteche infinite e i destini di Borges. E così, hanno iniziato a esprimersi con le loro figure, rappresentando l'ambiguità del "reale", tirandosi fuori dal "linguaggio" comune e d'uso, svincolandolo da letture univoche e facendo diventare la forma non più solo significato ma sostanza. Ecco perché il vero artista lavora sugli spazi inconsueti, sulle zone d'ombra, sulle crepe e sugli interstizi dell' "oggetto", anche di quel "reale" che egli può ridurre alla sua essenza bruta, o caricare di elementi choccanti, o trasformare in irreale. Viviamo in tempi in cui la mercificazione dell’opera d'arte stabilisce una sorta di dittatura e il mercato dell'arte è diventato un ramo del mercato finanziario mondiale. Se già Charles Baudelaire, visitando l'Esposizione Universale di Parigi nel 1855, pensando alle belle arti, aveva intuito il rischio che l'opera d'arte diventasse merce e feticcio, un filosofo del nostro tempo come Cornelius Castoriadis ha detto che "i mercanti sono principi ciechi che riducono il valore dell'arte al suo prezzo".

Lontani dalla "ragion di mercatura", ai nostri otto amici che, pennello su pennello, sono ancora autenticamente e entusiasticamente sperimentali, mi piace attribuire come loro ethos tre sostantivi: curiosità, libertà, felicità.