Qualcuno, prima di me, parlando di Alfredo Santoro e della sua pittura, ha usato più volte il termine “solenne”. Ecco, credo che migliore definizione non si possa dare, in effetti la sua pittura lo è davvero, perché trova, nell’assoluta ma essenziale semplicità una forza evocativa fuori dal comune, come una poesia o un inno sacro, e per ciò incute rispetto, muta ammirazione. E pensare che Santoro non è un pittore figurativo tout-court, derivando tale solennità da altro che dalla retorica grafica del disegno che tutto idealizza.
La pittura di Santoro esprime questa intensa ed elevata visione attraverso il colore che, negli ultimi anni, gira soprattutto attorno alla gamma dei blu (blu cobalto, blu elettrico, azzurro, celeste), colori del cielo e del mare cioè psicologicamente emblematici in tutto l’universo, un colore che orchestrato come musica dal ritmo grave, notturno, in crescendo, monumentale.
Un colore potente, quello di Santoro, netto, disteso in maniera perentoria, che d’impatto attira, risucchia dentro la visione, tiene incollato chi guarda tramite una ipnosi inspiegabile, quasi che in quei colori vi sia la volontà di esprimere la vita nel suo elemento primordiale: la luce sublime dell’inizio.
La pittura di Santoro, i suoi quadri, sono lavori che nel gesto espressionista che sintetizza le forme (e proprio per questo le rende essenziali, primitive nel senso di originarie) fingono davvero la musica e come essa mirano essenzialmente all’emozione. Cioè ad un rapporto immediato tra oggetto e soggetto che scendendo nel profondo della coscienza razionale cerca un tipo di comprensione immediata, istintiva, quasi irrazionale ma che invece è anche questa originaria, quindi infallibile perché personale e non comunicabile. La pittura di Santoro è allora comunicazione tramite l’emozione dell’inesprimibile che viene prima (e dopo) ogni tipo di comunicazione verbale di tipo convenzionale.
Santoro non disegna, il momento preparatorio è tutto nella sua mente; il momento creativo avviene tramite la giustapposizione di larghe campiture di colore che non tentano la fusione tonale bensì la fusione musicale di note apparentemente dissonanti ma in realtà mosse da un movimento interno che tende all’armonizzazione degli opposti. Ciò avviene attraverso una visione di insieme che è dentro e fuori il quadro, dentro tramite la luminosità divisa dei colori che sommandosi assieme danno una luce sempre maggiore, quasi amplificandosi a vicenda; fuori, nella mente dello spettatore, che trova nella propria memoria il momento unificatore suggerito dal quadro.
Matisse, Picasso, Klee ma anche Chagall e persino Mario Schifano: tutto questo troviamo in Santoro, in una sintesi personale che tuttavia prescinde allo stesso tempo da ogni matrice culturale, sintesi espressa attraverso gesti originari, scaturenti, vitali, quindi più naturali che culturali.
Una serie di quadri che rimandano al mondo delle Eolie, della pesca, del mare, attirati da un insopprimibile poesia della natura, che è canto di bellezza, aspirazione onirica ad un regno di quiete e bellezza, mito dell’infanzia, un mondo incorrotto quasi alla Gauguin.
Una bella esposizione nella quale il pittore, con una tecnica apparentemente semplice ma invero molto complicata (perché complicata è la ricerca dell’equilibrio, della misura, della regola), ci conduce per mano in un Mediterraneo mitico e poetico, prezioso e suggestivo, spesso abitato da pesci e uccelli misteriosi che ci guardano come millenarie divinità benevole sempre pronte a condurci nel sogno di una vita che vale la pena di essere sognata. Anche Santoro, come Matisse, e prima di tutti come Baudelaire, ci invita al viaggio là non c’è nulla che non sia beltà, ordine e lusso, calma e voluttà…
Andrea Italiano