a cura di Enzo Caruso
“E’ una vergogna, Signor Sindaco! E’ giunta l’ora di impedire agli abitanti della case che stanno lungo il torrente Portalegni (ora via Tommaso Cannizzaro), di gettare al mattino il contenuto degli orinali dalla finestra!”
Lamentele simili, che apparivano periodicamente sulle pagine della Gazzetta, danno l’idea delle “sane” abitudini dei messinesi nel tardo ‘800; non essendo in uso in tutte le case un locale dedicato alla toilette, o anche per evitare di alzarsi durante la notte per i propri bisogni fisiologici, era consuetudine utilizzare il “vaso da notte” (orinale detto anche càntaro) custodito in un alto comodino chiamato per l’appunto “cantaràno”. Barbare usanze diremmo oggi, ma tali da stimolare la satira giornalistica appresso descritta.
L’articolo seguente, pubblicato sulla Gazzetta nel 1887, prendendo spunto dalle fortificazioni alle quali si lavorava alacremente denuncia, con delizioso garbo e una non tanto velata ironia, lo stato igienico dei torrenti cittadini, accusando il Comune di inefficienza e scarso interesse alla salute pubblica.
GAZZETTA DI MESSINA - 8.4.1887
Cose Nostre
Mentre lo Stato provvede alla costruzione di fortificazioni a difesa dello Stretto, il Comune poi, provvederà alla difesa della città. In particolare esso lo farà attraverso le opere idrauliche.
Il Comune infatti per premunirsi contro un colpo di mano di un nemico che, sbarcando a Gazzi, volesse introdursi in Messina, passando per il Piano delle Moselle, ha pensato di scavare, quasi come un fossato, il torrentuolo che scende dalle Moselle e, traversando i nuovi fabbricati, sbocca al mare; e siccome l’acqua potrebbe scarseggiare, in attesa che arrivi quella della Santissima o quella dei Monti Peloritani, il Comune ha stabilito di farvi scorrere, per ora, melma, orine ed escrementi animali, cose tutte che, se non riusciranno ad arrestare il nemico, serviranno certo per asfissiarlo e fargli prendere una perniciosa letale. Come seconda linea di difesa, poi, e seguendo lo stesso sistema, ha stabilito la strada S. Agostino, che segna il limite dei due Mandamenti interni, Arcivescovado e Priorato, e nella quale scorrerà perennemente un rigagnolo di sostanze equivoche, che in caso di bisogno possono aumentarsi sino a 12 cubiti.
Le condizioni igieniche prima del 1908, e ancor più nell’immediato dopo-terremoto, non erano certo delle migliori. Per tale motivo, nel piano urbano della ricostruzione di Messina fu prevista la costruzione di numerosi orinatoi pubblici, denominati “Vespasiani”, dislocati in diverse zone della città. Giova ricordare che tali strutture prendevano il nome dall’imperatore Vespasiano che aveva dotato Roma di gabinetti pubblici, imponendo una tassa sulla raccolta dell’urina utile per ricavare l’ammoniaca che serviva per sbiancare le lana delle toghe
Un celebre aneddoto, riferito dallo storico romano Svetonio (Vita di Vespasiano, De vita Caesarum VIII, 23), riferisce che quando Tito, figlio di Vespasiano, lamentò la natura disgustosa della tassa, suo padre mostrò una moneta d'oro e gli chiese se si sentiva offeso dal suo odore; alla risposta negativa di Tito, Vespasiano esclamò, “Pecunia non olet, sed urina sì!” (Il denaro non puzza, eppure viene dalle urine!); il detto è ancora oggi usato per dire che il valore della moneta non è contaminato dalle sue origini. Ma anche se il nome “vespasiano” fa un po’ arricciare il naso per il collegamento immediato al suo uso, tali manufatti rappresentarono, dal punto di vista estetico, delle vere e proprie opere d’arte. Nelle diverse tipologie di postazioni (a 2 o 3 posti) o di manifattura (in materiale metallico o in cemento armato), fuori terra o interrati, i vespasiani fecero bella mostra di sé fino agli anni ’70.