L’opera che dà il titolo a questa interessante mostra scientemente volta a sollecitare le nostre intelligenze, parte dall’allusione colta, verbale e iconica, e dall’ironia filtrata che ne costituisce la chiave di lettura. Le opere di Pippo Martino, artista tout court, poliedrico, autodidatta, dalla personalità schiva e capace, al contempo, di grandi slanci e di grande generosità umana prima ancora che ideologica, fanno del disegno il fulcro di quel momento di distacco dalla realtà che la personalità dell’artista chiede a se stesso e allo spettatore.
E’ infatti, il disegno, il mezzo tramite il quale l’artista accompagna e commenta con amara lucidità l’evoluzione, o meglio l’involuzione, di una intera società che è passata, negli ultimi quattro decenni, dal senso comunitario all’individualismo sfrenato, dal senso della storia, al pensiero unico che vive nell’eterno presente e che cancella il passato e l’identità. Non si tratta di un grido scomposto, ma di una calibrata denuncia con la quale Martino ribadisce, a partire dall’autoritratto e fino alla rappresentazione dell’ancestrale memoria iconografica collettiva, un profondo senso identitario lontanissimo, beninteso, dai facili e beceri rigurgidi di nazionalismo.
Benché le opere in mostra siano quasi tutte sorrette da una vena surreale nei termini di una predilezione per soggetti che si sottraggono alla corrispondenza con la realtà (Clepsidra, S.P.Q.M, o le raffinate incisioni) e che derivano da una rielaborazione onirica, quello che emerge non è la realtà inconscia, quanto il gioco disinteressato del pensiero, il rimando concettuale a momenti, miti, episodi della nostra storia e della nostra iconografia; il suo orizzonte diventa quindi una culla semantica che si apre ad infiniti spazi associativi.
Le “citazioni” apparentemente facili si inseguono in una rete di rinvii colti volti a sottolineare e a “difendere” la permanenza del passato nel presente come nel caso di Scilla e Cariddi che vengono allattate dalla pescespadessa nelle profondità dello Stretto la cui storia millenaria viene evocata da anfore e bastimenti sapientemente scorciati, o come, sempre sulle campiture marine, l’ elegante volto e il corpo sinuoso del Satiro Danzante di Mazara. E ancora citazioni dall’Ignoto Marinaio di Antonello o raffinatissimi piccoli riquadri col Pantocratore e con la Vergine che “resistono” su superfici concave e che richiamano i catini absidali di perdute chiese Basiliane. Oltre questi olii, sono presenti incisioni, disegni a matita e crete e opere digitali al plotter che fanno riferimento al ritratto di papa Paolo III Farnese e alla sua “farneticante” Bolla o ad una Ketubah messinese, con rimandi ai grandi filosofi ebrei andalusi Abulafia e Maimonide e al quadrato magico-cabalistico traslitterato con arguzia in capitali quadrate romane.