Il Palazzo Reale di Messina

Contattaci
Chi siamo
Richiedila Ora

La più antica descrizione che conosciamo del Palazzo Reale di Messina è quella fatta da Ibn Giubayr Abû al-Husayn ibn Ahmad al-Kinânî, poeta andaluso nato a Valenza nel 1145. Fra il 1183 e il 1205 intraprese tre lunghi viaggi in Oriente, che lo condussero pellegrino alla Mecca, in cui si fermò a lungo, per trasferirsi a Gerusalemme e poi ad Alessandria, dove morì nel 1217. Sbarcò in Sicilia nel 1184, al ritorno di un viaggio in Terrasanta. Sui suoi viaggi, lasciò un ponderoso diario, “Viaggio del Kinânî”, cui appartiene la descrizione del Palazzo Reale di Messina da lui fatta il 9 dicembre 1184:

Possiede questo monarca de’ palagi magnifici e dei giardini deliziosi, massime nella detta metropoli del reame. In Messina egli ha un palagio bianco come una colomba, il quale domina la spiaggia: [in esso] attendono a’ servigi del re molti paggi e ancelle”.

Il Palazzo Reale turrito di epoca normanna si mantenne nell’originaria conformazione di castello fortificato fino al 1565, quando l’architetto e scultore carrarese Andrea Calamech già eletto nel 1563 dal Senato di Messina, sebbene assente, ebbe l’incarico dal Vicerè Don Garzia di Toledo di ampliarlo e trasformarlo (edificato nel 1081 per volere del Gran Conte Ruggero, era stato già ampliato da Federico II d’Aragona nel 1309). I lavori venivano però dopo breve tempo interrotti, ripresi nel 1573 e proseguiti poi nel 1583-85 da Don Alfonso de Bisbal, marchese di Briatico.

Nella prima metà del Cinquecento, all’epoca dell’imperatore Carlo V che vi soggiornò al ritorno vittorioso della battaglia di Tunisi e la Goletta contro i turchi di Ariadeno Barbarossa, il 20 ottobre 1535, il Palazzo appariva con sei torri merlate quadrate e grande corte interna scoperta. Con questa conformazione, infatti, è raffigurato nelle numerose incisioni che rappresentano la città a volo d’uccello nella prima metà del Cinquecento. 

La porta centrale nella facciata principale, disegnata dal Calamech, venne decorata in seguito dopo la sua morte, e precisamente nel 1593, dal messinese Fabrizio Mora. Era sormontata da un grande balcone marmoreo sorretto da monumentali mensole intagliate e insieme dominavano la facciata dell’edificio caratterizzandone l’asse di simmetria. Nel suo intervento, il Calamech conservò l’originaria facciata laterale del palazzo, decorata con grandi pilastri e larghe finestre gotiche ogivali in pietra lavica, risalente al 1329. Oltre alla Cappella Reale, si rifece il prospetto verso la marina con logge e balconi, e, nelle quattro torri angolari, Calamech realizzò altrettante, elegantissime finestre a “serliana” con parapetto a colonnine. 

Si trattava, in sostanza, di una trasformazione del castello medievale in un palazzo rinascimentale come avveniva in tutta Italia alla fine del ‘500, dietro i molteplici esempi di derivazione sangallesca.

Danneggiato dal terremoto del 1693, nel 1714 il grande architetto e argentiere messinese, Filippo Juvarra, ne progettò l’ampliamento e la sistemazione retrostante a giardini con una monumentale esedra terminale di grande effetto scenografico. Era, questo di Juvarra, il concepimento dell’architettura come una limitazione di armoniosi spazi interni, di articolata dinamica, e, di limitazione di spazi esterni verdeggianti. 

Il terremoto del 5 febbraio 1783 lo devastò interamente fino a quando venne definitivamente abbattuto nel 1826. L’edificio doganale eretto nel 1880 al suo posto crollò anch’esso, stavolta sotto la furia devastatrice degli uomini più che dal terremoto del 28 dicembre 1908 che lo aveva lasciato intatto. Si pensò alla sua demolizione e totale ricostruzione già nei primissimi anni dopo il sisma e, nel 1911, venne affidato l’incarico della progettazione all’”Ingegnere di 2° Classe” del Corpo Reale del Genio Civile Luigi Lo Cascio. 

Nella città atterrata dal terremoto, che risorgeva come l’araba fenice dalle proprie ceneri, la Regia Dogana di Luigi Lo Cascio enfatizzava e al tempo stesso auspicava la ripresa economica di Messina, quella ripresa che ne aveva fatto il grande emporio dei commerci nel Mediterraneo nella sua storia millenaria; e lo ribadiva nell’apparato simbolico-decorativo della facciata in via Primo Settembre con le teste alate del dio Mercurio e ai suoi lati caducei, sormontanti i tre ingressi principali, e un elaborato e monumentale fastigio sommitale centrale con un piccolo Mercurio ritto sulla prua di una nave che con gesto d’imperioso comando, a dispetto di Scilla e Cariddi e dei gorgosi flutti marini, conduceva i commerci felicemente in porto sotto la sua ala protettiva, così com’era sempre stato.


Nino Principato