Il mistero della lettera e del sacro capello
di Roberto cavallaro
Il 3 giugno di ogni anno i messinesi trasportano su un fercolo argenteo una ciocca di capelli rivestita d’argento conservata in una teca di cristallo di rocca e una statua circondata dai fiori raffigurante la Madonna della Lettera, la santa protettrice di Messina.
La festa, istituita con decreto senatoriale nel 1636, celebra la consegna all’ambasciata messinese, in missione a Gerusalemme nel 42 d.C., di una lettera “autografa” della Madonna con la quale si concede protezione e benedizione alla città dello Stretto.
Personalmente ritengo che tutta questa faccenda della lettera sia un falso storico, ben costruito, per far sì che Messina ottenesse, nel Medioevo e nell’Età Moderna, privilegi regi soprattutto in ambito commerciale. Vera o falsa che sia certamente però da questa storia è nata una festività religiosa secolare molto vissuta dai messinesi – almeno dai credenti – e da cui è scaturito un patrimonio artistico e culturale degno di attenzione a fondamento dell’identità della città, tra cui il sacro capello della Beata Vergine.
Non molti sanno che nella storia della famiglia Cavallaro c’è una vicenda legata alla reliquia del sacro capello.
Il diacono della strada Tanino Cavallaro riporta in Foglie lasciate al vento di quando il 16 giugno del 1943 fu assegnato a lui e al fratello dal parroco di San Luca (penso che fosse all’epoca padre Macrì), d’accordo con l’arcivescovo Monsignor Paino, il compito di custodire con cura la “Teca che è preziosa perché contiene la ciocca dei capelli consegnati dalla madre di Gesù all’ambasceria dei Messinesi quando le fecero visita a Gerusalemme”[1]. All’epoca la polizia fascista aveva messo sotto torchio il sacerdote “per via dei suoi fratelli emigrati in America”[2] e, temendo per le sorti della reliquia, decise di affidarne la custodia a due fratelli di sincera fede “perché responsabili di Azione Cattolica”[3].
La reliquia fu conservata dai fratelli Cavallaro fino alla fine della guerra e in seguito all’ingresso degli americani in città fu debitamente restituita alle autorità ecclesiastiche.
A tal proposito l’autore afferma:
A sera tardi non mancavamo di aprire il cassetto della scrivania, porre la teca su un lino e pregare la vergine santa, per l’onore avuto di custodire la ciocca dei capelli. […] Entrati in città gli americani e finita la guerra ed ogni incubo, in un pomeriggio di settembre, unitamente al nostro Parroco abbiamo consegnato all’Arcivescovo la sacra reliquia e nel darci la sua benedizione ci ha ringraziato a nome della Vergine Maria.
In ambito artistico la tradizione messinese della Madonna della Lettera trova riscontro in alcune opere letterarie. In particolare ricordiamo il poema eroico La Sacra Lettera del poeta toscano del Seicento Francesco Bracciolini, Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Vedute dello Stretto di Messina e Fra Contemplazione e Paradiso in Di qua dal faro di Vincenzo Consolo.
Vorrei limitarmi soltanto a considerare le opere dei due scrittori siciliani.
Nell’ottavo capitolo del Gattopardo le figlie del principe di Salina mostrano a Monsignor Pirrone il quadro della Madonna della Lettera situato sopra l’altare della cappella di famiglia, con un esito che ha dell’incredibile:
Era un dipinto nello stile di Cremona e rappresentava una giovinetta esile, assai piacente, gli occhi rivolti al cielo, molti capelli bruni sparsi in grazioso disordine sulle spalle seminude; nella destra stringeva una lettera spiegazzata; l’espressione sua era trepida di attesa non disgiunta da una certa letizia che le brillava nei candidissimi occhi; nel fondo verdeggiava un mite paesaggio lombardo. […] “Una immagine miracolosa, monsignore, miracolosissima!” spiegò Caterina […] Carolina incalzava: “Rappresenta la Madonna della Lettera. La Vergine è sul punto di consegnare la santa missiva ed invoca dal Figlio Divino la protezione sul popolo messinese; quella protezione che è stata gloriosamente concessa, come si è visto dai molti miracoli avvenuti in occasione del terremoto di due anni fa.” […] si giunse alla discesa verso Palermo, fra gli aranceti, Monsignore parlò. “E così lei, padre Titta, ha avuto il fegato di celebrare per anni il Santo Sacrifizio dinanzi al quadro di quella ragazza? Di quella ragazza che ha ricevuto l’appuntamento ed aspetta l’innamorato? Non venga a dirmi che anche lei credeva che fosse un’immagine sacra.”[4]
Nel saggio breve Vedute dello Stretto di Messina lo scrittore Vincenzo Consolo nel riassumere la storia di Messina inserisce “il ritorno della missione in Gerusalemme, nel 42 d.C., degli ambasciatori con la lettera […] della Madonna”[5] come uno dei fatti salienti della città insieme allo sbarco di Don Giovanni d’Austria del 25 agosto 1571.
Nel racconto Fra Contemplazione e Paradiso in appendice al saggio sopramenzionato il protagonista è un pescatore che sposa Concetta, una bella ragazza di Bagnara figlia del proprietario di una barca, a cui mostra le bellezze di Messina, e in particolare la stele della Madonna della Lettera e il campanile del Duomo con la descrizione dell’orologio e tutta la simbologia legata alle tradizioni storiche e religiose della città, di cui la tradizione della Madonna Lettera ricopre un ruolo di primo piano. Nonostante tutto il protagonista ha come la sensazione che lei non sia felice accanto a lui e abbia nostalgia del suo villaggio calabrese:
Le feci conoscere Messina, il porto, con tutta la confusione dei bastimenti fermi […] la Madonna lì alla punta della falce, alta sopra la colonna, sopra il forte del Salvatore; il duomo, dove restò incantata, a mezzogiorno, per il campanile e l’orologio […] suonano le campane, […] San Paolo, torna l’Ambasceria da Gerusalemme, la Madonna benedice…Me la portai per i viali, […] Ma lei, lei, sempre pronta, sottomessa, era però come restasse sempre straniata, come legata con la memoria alla terra di là, oltre lo Stretto[6].
In conclusione per quanto io sia non credente la tradizione della Madonna della Lettera ha un suo fascino misterioso, che nella mia famiglia è molto sentita da come si evince dalla storia di mio nonno, la cui fede è stata salda e sincera per tutta la vita, e che rintracciamo anche in letteratura in opere di scrittori legati direttamente o indirettamente a Messina e a cui hanno voluto rendere omaggio menzionando un culto secolare che è a fondamento dell’identità della nostra città.
[1]Tanino Cavallaro, Foglie Lasciate al Vento. Meditazioni, Testimonianze, Vita Vissuta. 1947-1995, Samperi Editore, Messina, 2008, p. 51.
[2] Ibidem.
[3] Ivi, p. 52.
[4] Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, Milano, 1963, pp. 174-176.
[5] Vincenzo Consolo, Vedute dello Stretto di Messina, in Di qua dal faro, Mondadori, Milano, 2001, p. 81.
[6] Vincenzo Consolo. Fra Contemplazione e Paradiso, in op. cit., p.88.