La letteratura è piena di grandi classici che spesso finiscono per essere dimenticati e che di tanto in tanto le case editrici ripubblicano per ricordare ai lettori l’importanza di queste opere. Tra questi classici c’è senza dubbio Romola della scrittrice inglese George Eliot (nome d’arte di Mary Ann Evans), ristampato recentemente dalla casa editrice Edizioni Clichy nella collana Père Lachaise con la traduzione di Giovanni Maria Rossi.
Il romanzo fu pubblicato nel 1862, dopo una serie di soggiorni in Italia che portò l’autrice a Firenze per consultare i documenti storiografici necessari per la stesura di un romanzo storico che facesse rivivere l’atmosfera del Rinascimento italiano e in cui si conciliassero la struttura e l’intreccio dei romanzi di Walter Scott con la cura e la bellezza della lingua che tanto aveva ammirato nei I promessi sposi di Alessandro Manzoni. A Firenze tra l’altro al palazzo n. 13 di via dei Tornabuoni, dove nell’Ottocento c’era un albergo ritrovo di artisti, c’è ancora la targa commemorativa che ricorda il passaggio della scrittrice nel capoluogo toscano. Qui nel 1860 e nel 1861 George Eliot risciacquò come Manzoni i propri panni nell’Arno e dalla consultazione dei testi storici in italiano, lingua che la scrittrice ben conosceva, scaturì Romola.
Il romanzo narra le vicende di Romola de’ Bardi, una giovane nobildonna che si trova ad affrontare gli anni turbolenti successivi alla notizia della morte di Lorenzo il Magnifico che porteranno all’affermazione del frate domenicano Girolamo Savonarola.
La bellezza dell’opera risiede nel fatto che la protagonista è un personaggio dinamico in continuo divenire che risente delle vicende famigliari e dei fatti storici e che, partendo da un ruolo secondario, piano piano si conquista un ruolo sempre più preminente fino a diventare la protagonista indiscussa della narrazione.
Figlia di Bardo, un umanista cultore di latino e greco diventato cieco dal troppo studio che spera grazie all’aiuto della figlia di scrivere un’opera che lasci il segno nella critica letteraria, Romola è una giovane in età da marito dai folti capelli fra il biondo e il rossiccio e gli occhi nocciola, dal cuore gentile e una cultura fuori dal comune, che crede nel valore dei classici greci e latini, unici detentori della verità, e non capisce come il fratello abbia potuto abbandonare il padre per farsi frate domenicano seguace di Savonarola. Ben presto viene conquistata dall’avventuriero greco Tito Melema, un giovane bellissimo di notevole cultura sopravvissuto al naufragio della nave in cui c’era anche il padre adottivo Baldassarre, che sposerà con la benedizione di Bardo anche lui conquistato dalla bontà e dalla cultura del giovane. Non molto tempo dopo Romola si accorge che Tito non è quello che sembra, ma un arrivista e doppiogiochista che sfrutta gli altri per raggiungere i più alti vertici letterari e politici. Lo si trova sempre a Palazzo Vecchio a tramare con i potenti e a conversare di arte e politica alla bottega del barbiere Nello dove si trovano anche altri intellettuali come il giovane promettente letterato Niccolò Macchiavelli e il pittore Piero di Cosimo, l’unico che in un ritratto ha afferrato la vera natura del forestiero.
Alla morte di Bardo Tito Melema vende la biblioteca che Romola, invece, intendeva valorizzare rispettando la volontà testamentaria del padre. Il comportamento egoistico di Tito sancirà la fine dell’amore e Romola tenterà anche di scappare da Firenze per rifarsi una vita ma, persuasa dal predicatore Girolamo Savonarola, verrà convinta a rientrare in città per non porre fine alla sacralità del matrimonio. Romola si farà Piagnona e troverà la salvezza nella fede e nelle parole del predicatore ferrarese, dedicando le proprie giornate alla cura dei più bisognosi e in particolare degli appestati. Al falò della vanità la protagonista non proverà orrore nel vedere arsi al rogo i dipinti più lascivi di Botticelli e degli altri artisti dell’epoca come anche delle copie in commercio delle opere di Boccaccio e Petrarca, ma la bontà e calma aristocratiche che la contraddistinguono e la stima degli autori di cui si era nutrita in gioventù le impediscono di partecipare con fervore.
Quando però la politica moralistica e purificatrice del frate domenicano colpiscono gli affetti di Romola, nella fattispecie il padrino filomediceo Bernardo del Nero, la protagonista ha una disputa accesa col frate domenicano e come una novella Antigone fa valere la ragione degli affetti contro le leggi umane ingiuste e faziose.
Che cosa ne sarà di Romola? Riuscirà a convivere con un marito che non ama più, di cui non si fida e che sembra nascondere un terribile segreto? In lotta tra obbedienza e resistenza cosa avrà la meglio su di lei? Inoltre riuscirà a farsi rispettare come donna in un mondo dominato dagli uomini?
Con Romola George Eliot è riuscita a creare una figura letteraria femminile tra le più grandi di sempre, un personaggio pieno di tensione psicologica che rivendica con ardore le proprie idee e il proprio ruolo nella società all’altezza delle ben più note eroine di Jane Austen e Charlotte Brontë. Probabilmente la scrittrice nel ritrarre Romola si è ispirata alla figura di Simonetta Vespucci (la Venere di Botticelli), ma a me ricorda molto per le fattezze la duchessa Giulia Varano di Camerino (la Venere di Urbino di Tiziano), moglie di Guidobaldo della Rovere duca di Urbino, mentre per lo spirito la duchessa Caterina Cybo, la madre di Giulia, che in vita si fece apprezzare per la propria intelligenza, cultura, apertura verso le correnti riformistiche e capacità di statista in un mondo dove le donne di valore e di cultura non erano poche ma che per farsi valere dovevano affrontare notevoli insidie e faticare più degli uomini. Il destino dei Varano di Camerino è emblematico. Nonostante il matrimonio tra l’erede Giulia e Guidobaldo della Rovere i Varano alla fine dovettero cedere nel 1539 i propri possedimenti allo Stato della Chiesa per cancellare la scomunica che gravava sui loro confronti. Certo si potrebbe obiettare che perdere un ducato importante quale quello di Camerino a favore del Papa non è paragonabile alla vendita di una biblioteca seppur di notevoli dimensioni quale quella dei de’ Bardi ma, dal momento che per la protagonista quel luogo era stato tutta la sua vita, si potrebbe per analogia paragonarne la sofferenza nel veder smembrata la propria biblioteca tra il Ducato di Milano di Ludovico il Moro e il regno di Francia di Carlo VIII.
George Eliot inoltre riesce a rendere la vitalità della vita quotidiana fiorentina con i suoi mercati, piazze, botteghe e feste religiose e civili come il Carnevale, che subiscono dei cambiamenti radicali dal passaggio da una forma di governo all’altra. In tal modo il Carnevale del periodo di Lorenzo il Magnifico non è lo stesso di quello allestito durante il governo di Savonarola così come anche le discussioni di bottega e le merci reperibili al mercato risentono dei cambiamenti politici e culturali.
Infine George Eliot con la lotta di Romola tra obbedienza e resistenza e tra la legge morale degli affetti e la legge civile riesce a rendere il dibattito politico vigente all’epoca che porterà ai risultati più disparati: dal rapporto tra forma di Stato e morale civica di un popolo di Niccolò Macchiavelli, alla legittimazione dell’obbedienza al sovrano assoluto di Jean Bodin e, all’estremo opposto, la legittimazione della resistenza al potere ingiusto affermata dai calvinisti in scritti come la Vindiciae contra tyrannos.
In conclusione Romola di George Eliot vi conquisterà perché è uno di quei romanzi perfetti che unisce la bellezza della lingua alla trama avvincente e al rigore storico. Alla fine della lettura sentirete la mancanza di Romola – in particolar modo della sua saggezza – e vorreste che, come un’amica su cui si può sempre contare, sia sempre lì a darvi un consiglio di cui poterne fare tesoro.
Roberto Cavallaro / Un Libro per stare bene